Mia madre è un fiume: i Premi del 2011

Mia madre è un fiume: i Premi del 2011

14/04/11

Mia madre è un fiume: articolo di Mario Bernardi Guardi: Secolo d'Italia

Secolo d'Italia  13 aprile 2011 
Madre e figlia nel labirinto della memoria
Articolo di Mario Bernardi Guardi

«Mamma, son tanto felice perché ritorno da te,/ la mia canzone ti dice ch'è il più bel giorno per me…», cantava (quando? cent'anni fa?) Beniamino Gigli: e dentro c'era tutta la dolcezza ingenua di una dichiarazione d'amore filiale, senza complicazioni edipiche né filtri intellettualistici. Anche in Mia madre è un fiume (Elliot, pp.179, € 16,00), il romanzo di esordio con cui Donatella Di Pietrantonio, che di professione fa la dentista per bambini, si candida allo Strega ("padrini" Manlio Cancogni ed Ernesto Ferrero), c'è amore. Un "fiume" d'amore.  
Raccontato con un linguaggio a un tempo tenero e aspro come l'Abruzzo rupestre che è lo scenario della storia; e con una freschezza, franchezza, castità di accenti, e improvvise irruzioni di desolata, struggente passione, come da tempo non ci capitava di trovare. Non ci capitava neanche di essere avvolti dalla commozione e non solo di non vergognarcene, ma di non poterne/volerne fare a meno. Forse succede così con le cose vere, quando scopri che le pagine riescono ad essere carne. «Anche il corpo ha un suo spirito», diceva Friedrich Nietzsche, e qui ci sono un corpo e uno spirito - la madre, Esperia Viola, detta Esperina - offesi dalla vecchiaia e dalla malattia - l'atrofia cerebrale, che ti annichilisce la capacità di ricordare, oppure te la imbroglia, tra vero e falso, presente e passato, in un gran rimescolìo di facce, situazioni, emozioni; e un altro corpo e un altro spirito - la figlia - che in passato sono stati assaliti da un bisogno di amore e di attenzione che per mille ragioni - tutte, escluse cattiveria e indifferenza - non è stato soddisfatto a pieno, e che non ce la fanno ancora ad elaborare il lutto di quel desiderio inappagato. E non è che corpo e spirito "tornino" dalla mamma, come dice la canzone, perché con lei non ci sono mai stati come avrebbero voluto, ma ci "vanno", per la prima volta, e offrono tutto l'aiuto che possono offrire, cercando di farla parlare e ricordare, e non è facile con quella povera mamma dalla mente sbiadita. Non c'è nulla di facile, perché i nodi di quello che non è stato detto, che non è stato fatto, che non hai avuto quando ardentemente lo desideravi, non si sciolgono d'un balzo, e allora c'è in te la pena per la mamma com'è, e il risentimento per la mamma com'era. Lo dici a chiare note: « Il nostro amore è andato storto, da subito. Era troppo educata al sacrifico per permettersi il piacere di stare con la sua creatura. Ogni tanto alzava gli occhi dalla terra che lavorava e guardava quel fagotto lasciato su una coperta all'ombra di un albero. C'ero. Un piano forte l'avrebbe sentito. Si rassicurava». 

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Nel nome della madre: articolo del Corriere della Sera